I Signori di Milano all'epoca del romanzo
BERNABO’ VISCONTI (1322 ca. – 1385).
Signore di Milano dopo la morte dell'Arcivescovo Giovanni Visconti, divide il potere con i fratelli Galeazzo II e Matteo, quest'ultimo il primo a morire, probabilmente assassinato. Alla morte di Galeazzo II il figlio Gian Galeazzo, dopo un periodo di dominio congiunto e pacifico, usurperà con uno stratagemma la signoria dello zio, di cui aveva sposato la figlia Caterina, prendendolo prigioniero dopo averlo convinto a compiere insieme un pellegrinaggio alla Madonna del Monte di Varese. Bernabò morirà dopo 7 mesi nel Castello di Trezzo, forse avvelenato. Verrà sepolto con grandi onori sotto il monumento equestre che si era fatto costruire da Bonino da Campione, ora al Castello sforzesco (prima in San Giovanni in Conca).
Crudele e violento, si dice che Bernabò abbia fatto ingoiare agli ambasciatori del Papa la bolla che sanciva la sua scomunica e fatto cavare gli occhi a un centinaio di sudditi che cacciavano di frodo durante una carestia. Come altri della famiglia, anche lui alleva centinaia di mastini ed è noto per la lussuria. Sposato con Regina della Scala, figlia del signore di Verona, marita le numerose figlie, legittime e illegittime, con gli uomini più importanti dell’epoca (la nipote Isabella di Baviera sarà regina di Francia, moglie di Carlo VI e acerrima rivale della cognata Valentina, a sua volta moglie di Luigi d’Orleans). I suoi discendenti rivendicheranno a lungo i loro diritti ereditari su Milano.
GIAN GALEAZZO VISCONTI (1347-1402).
Figlio di Galeazzo II, andrà più di ogni altro signore italiano vicino a realizzare il sogno dell’unificazione della penisola. Solo la morte per un'epidemia nel 1402 ne bloccherà l'ascesa militare, culminata nell'assedio di Firenze.
Sposato in primo matrimonio con Isabella di Valois, figlia del re di Francia Giovanni II, da lei prende in dote la contea di Vertus per cui si farà chiamare Conte di Virtu’. Hanno una figlia, Valentina, che sposa il proprio cugino Luigi di Valois, duca d’Orleans, fratello del re di Francia Carlo VI. I loro discendenti (in particolare il nipote Luigi XII di Francia) rivendicheranno per questo motivo il potere su Milano. La seconda moglie è Caterina di Bernabò Visconti, forse sua complice nel tradimento del padre e probabilmente uccisa a sua volta dal figlio primogenito Giovanni Maria.
Signore di notevoli capacità politiche e militari, amante del lusso e grande mecenate, l’anno successivo alla cattura di Bernabò (1385) Gian Galeazzo, ormai insignito del titolo ducale, dà inizio alla costruzione del duomo, in accordo con vescovo Antonio da Saluzzo. Questo progetto, cui si affianca quello della costruzione della Certosa di Pavia, sarà sempre centrale nei suoi interessi, come dimostra la sua partecipazione alle vicende costruttive, non sempre in accordo con i deputati della Veneranda Fabbrica.
GIOVANNI MARIA VISCONTI (1388-16 maggio 1412).
Erede di Gian Galeazzo, non ne possiede le capacità e porta in breve lo stato allo sfacelo quasi totale, conteso tra i diversi condottieri, tra cui primeggia Facino Cane. Lussurioso, crudele, sanguinario, è inviso alla popolazione e usa i propri mastini per giustiziare i condannati. Durante una carestia, fa massacrare centinaia di cittadini colpevoli di inneggiare alla pace e vieta l'uso di questa parola nei suoi domini. E' probabile che sia lui il mandante dell'avvelenamento della madre Caterina nel 1404. Viene ucciso da un sicario sul sagrato di San Gottardo a soli 24 anni (la scena verrà rappresentata in un famoso quadro di Ludovico Pogliaghi).
FILIPPO MARIA VISCONTI (1392- 13 agosto 1447).
Il figlio cadetto di Gian Galeazzo Visconti è di salute cagionevole fin da piccolo, tanto che la madre Caterina lo soprannomina Panìco per le polpette particolari con cui lo deve nutrire. Malfermo, deve appoggiarsi a qualcuno per camminare. Il suo carattere è apparentemente mite, in realtà subdolo e malevolo. Userà costantemente l'istigazione e la contrapposizione dei subalterni come strumenti di governo.
Alla morte del fratello Giovanni e del condottiero Facino Cane, sposa la vedova del secondo per incamerarne la dote, poi la fa giustiziare per presunto tradimento nel 1418, anno dell’inaugurazione dell’altare maggiore del nuovo duomo (all'avvenimento è ispirata l'opera di Bellini Beatrice di Tenda). Sposa poi in seconde nozze Maria di Savoia per ottenere l'appoggio dei Savoia in un momento di grave crisi nella continua guerra contro Venezia, che costa vasti territori allo stato di Milano. Nemmeno da Maria avrà figli legittimi. Detiene il potere per ben 35 anni con successi altalenanti, riuscendo tuttavia a ricostituire lo stato precedentemente disgregato. Alla sua morte gli sopravvive un'unica figlia, illegittima, avuta da Agnese del Maino: Bianca Maria (1425-1468), data in moglie in cambio di un'alleanza (1441) al condottiero Francesco Sforza, che può pertanto rivendicare il diritto sul ducato per sé e la propria sposa.
FRANCESCO SFORZA (1401-1466).
Sposato all'unica figlia del Duca Filippo Maria Visconti, alla morte di quest'ultimo (1447) viene nominato Capitano della neonata Repubblica ambrosiana. Tenta accordi con Venezia per la spartizione del territorio, ma nonostante questo gli verrà consegnato il dominio su Milano purché difenda la città dalle mire altrui (1450). Riuscirà in breve ad accattivarsi le simpatie dei Milanesi, grazie alle notevoli doti politiche e all'equilibrio dimostrati. Pone fine alla eterna guerra con Venezia con la pace di Lodi (1454). Crea un'alleanza con Cosimo de Medici e con i Valois, interrompendo le tradizionali ostilità tra Milano e Firenze. Nel 1455 firma la Lega italica, trattato di non aggressione reciproca tra gli stati. Importante mecenate, commissiona l’Ospedale dei poveri al Filarete (la prosecuzione sarà affidata a Guiniforte Solari e poi all’Amadeo) e dà inizio a Santa Maria delle Grazie. Nel 1465, durante la Guerra del Bene pubblico, che vede opposto Carlo il temerario al re di Francia Luigi XI, manda in aiuto al re il figlio Galeazzo Maria, ottenendo così importanti riconoscimenti internazionali.
GALEAZZO MARIA SFORZA (1444-1476).
Alla morte del padre Francesco, il ventiquattrenne Galeazzo Maria è in Delfinato per la Guerra del Bene pubblico; ne torna travestito in borghese, inseguito dai Savoia ancora nemici (ma sposerà in seguito Bona di Savoia). Rientrato trionfalmente in città, sopporta a fatica l'ingerenza della madre negli affari di stato, fino a convincerla a lasciare la città e ritirarsi nel suo feudo, Cremona.
Promesso sposo dapprima a Susanna Gonzaga, figlia di Ludovico e Barbara di Brandeburgo, poi rifiutata perché gobba, quindi alla sorella Dorotea (v. Maria Bellonci, Soccorso a Dorotea), si ritrae anche da questa possibilità (e viene salvato dall'impiccio dalla morte provvidenziale della ragazza) quando si prospetta la possibilità di nozze reali con Bona di Savoia, cognata del re di Francia Luigi XI (sorella della moglie del re, Carlotta e del genero del re, Amedeo IX di Savoia, che ne aveva sposato la figlia Iolanda). Manda a vederla suo fratello Tristano che così la descrive: “Collo e petto con ammirabile bianchezza, strettissima in vita con due pomi de sopra che non si toccano l’un l’altro al costume nostro, ma distanti in buon palmo”. Lo stesso Tristano rappresenta Galeazzo Maria in occasione delle nozze celebrate per procura. Sarà obbligato a passare con lei la prima notte di nozze, toccandole le gambe con le proprie; ma Gian Galeazzo, avvertito dal fratello, dice di non preoccuparsi “non trattandosi di un avvenente fanciullo”. All’arrivo al porto di Genova di Bona, le manda incontro anche il fratello Ludovico detto il Moro. Galeazzo la vedrà solo a Milano, dove il 7 luglio 1468 avviene la ratifica milanese delle nozze, alla presenza, per l’ultima volta in città, di Bianca Maria che muore poco dopo, probabilmente avvelenata su commissione del figlio. Dal matrimonio nascono: Gian Galeazzo, Ermes, Bianca Maria (che sposerà l’Imperatore Massimiliano d’Asburgo) e Anna Maria (che sposa Alfonso d’Este).
Vanesio e intemperante, sebbene non privo di capacità politiche, Galeazzo Maria ha molte amanti. Tra queste le più importanti sono Lucia Marliani (creata contessa di Melzo e insignita delle rendite della Martesana) e Lucrezia Landriani (la loro figlia Caterina sposa Girolamo Riario e terrà con lui la signoria di Imola).
Così si descrive Galeazzo Maria in una lettera al marchese di Mantova: “Che peccati ho io? Io ne ho pochissimi. Sono pomposo un poco, ma non è un gran peccato in un signore se sono superbo. Io ho solamente il peccato di lussuria, ma quello l’ho in tutta perfezione perché l’ho adoprato in tutti quei modi e forme che si possono fare”.
Il duca muore assassinato il 26 dicembre 1476 in Santo Stefano da Girolamo Olgiati, Giovanni Andrea Lampugnani, Carlo Visconti. Alla morte si contendono la successione Sforza Secondo (morirà nel 1479) e Ludovico che, accolto nello stesso anno calorosamente da Bona di Savoia, fa decapitare i consiglieri Cicco e Giovanni Simonetta e usurpa il potere del nipote Gian Galeazzo che all’epoca della morte del padre aveva 6 anni.
Gli umanisti del libro
FRANCESCO DELLA CROCE (1391?-1479).
Ecclesiastico e insigne giurista, rector iuristarum all'Università di Pavia, è molto vicino a Filippo Maria Visconti. Nel 1431 è assistente dell'Arcivescovo Bartolomeo (Della) Capra durante l'incoronazione del''Imperatore Sigismondo e negli anni seguenti partecipa al Concilio di Basilea. Diviene Vicario del nuovo Arcivescovo Piccolpasso, che alla sua morte gli lascia in consegna la propria ricca biblioteca, come rappresentante del Capitolo metropolitano.
Dal 1433 è Primicerio della Cattedrale. Fa parte del gruppo di ecclesiastici consultato da Filippo Maria Visconti per chiedere se un Signore che abbia compiuto peccati nell'adempiere al suo ruolo abbia possibilità di salvezza (il responso sarà solo parzialmente positivo).
Favorevole all'instaurazione della Repubblica dopo la morte del Visconti, viene mandato come ambasciatore a Firenze e tiene pubbliche letture delle Decretali a Milano. Nel 1448 lascia la carica di Vicario arcivescovile ma continua a rivestire ruoli di responsabilità nel corso della sua lunga esistenza, che si conclude nel 1479 (e non 1476, come nella finzione del romanzo).
PIETRO CANDIDO DECEMBRIO (1399?-1477).
La sua famiglia, pavese, si trasferisce a Milano nel 1402; Pier Candido riceve fin da piccolo una educazione estremamente raffinata, a contatto con importanti umanisti milanesi. Nel 1419, dopo un periodo di esilio della famiglia a Genova, torna a Milano per rivestire la carica, che terrà fino alla morte del Duca, di segretario di Filippo Maria Visconti e ambasciatore in importanti missioni. Ha però spesso a lamentarsi per l'esiguità della paga; sposato dal 1424, viene colpito da diversi lutti famigliari, tra cui la morte dei due figli.
Molto vicino all'Arcivescovo Bartolomeo (Della) Capra, rimane costantemente in contatto con i maggiori letterati dell'epoca e traduce importanti opere latine e greche. Alla morte di Filippo Maria, è favorevole e sostiene la neonata Repubblica ambrosiana, tanto da essere scelto come segretario della cancelleria dal 1448 al 1450. Avversando fortemente l'avvento al potere di Francesco Sforza, al suo ingresso in città si trasferisce a Roma al servizio di Niccolò V. Dopo un successivo periodo a Napoli come segretario di Alfonso e poi di Ferdinando d'Aragona, torna a Milano, ormai riconciliato con lo Sforza, nel 1459. Vi rimarrà fino al 1466, senza però ottenere i riconoscimenti in cui sperava, tanto che nel 1467 si trasferisce a Ferrara, alla corte estense. Nel 1473 cade in disgrazia presso Galeazzo Maria Sforza, che lo accusa di aver offeso la famiglia ducale; la diatriba sembra conclusa nel 1476, quando il Decembrio chiede aiuto al Signore in una lettera.
Pier Candido muore il 12 novembre 1477 a Milano. Nell'epitaffio in Sant'Ambrogio, dove è sepolto, gli sono attribuiti ben 127 libri, esclusi quelli in volgare (in buona parte sono andati perduti). La sua opera più interessante rimane però la Vita Philippi Mariae Vicecomitis (scrive anche altre biografie di contemporanei, tra cui quella di Francesco Sforza, accolta tiepidamente), in cui ci dà una vivace descrizione della personalità e delle abitudini del Duca, oltre che della sua attività politica.
COLA MONTANO (1430 ca.-1482).
Nicola di Morello Capponi, nato a Gaggio della Montagna, sull'Appennino bolognese, da una famiglia di agricoltori, si trasferisce a Bologna per seguire i propri studi umanistici. Nel 1462 fonda una scuola di retorica a Milano che avrà grande seguito e dove insegnerà soprattutto i grandi princìpi etici e morali della Roma repubblicana. Si firma più volte come "chierico" e mantiere forti legami con la Curia ambrosiana. Nel 1467 Cola aiuta alcuni allievi ad entrare nella compagnia di Bartolomeo Colleoni, allora nemico di Galeazzo Maria Sforza. Questo fatto procura le accuse dei genitori dei ragazzi e l'intervento del Duca, ma nonostante questo nel 1468 Cola riesce ad ottenere la cattedra milanese di lingua e lettere latine e ad aprire una stamperia negli anni '70. Nel 1474 tuttavia il Duca lo fa incarcerare per 13 giorni per alcuni epigrammi ingiuriosi rivolti a un precettore di corte e l'anno seguente, a Pavia, viene condannato alla fustigazione con l'accusa di aver abusato della figlia di un conte. Alla liberazione, viene ospitato e aiutato dagli allievi Giovanni Antonio Lampugnani e Girolamo Olgiati, come lui convinti repubblicani, prima di dover lasciare definitivamente la città per recarsi a Bologna. L'anno seguente, il 26 dicembre, questi due allievi insieme a Carlo Visconti uccidono in una congiura il duca. Cola Montano viene considerato subito l'istigatore ideale del delitto. Negli anni successivi parteciperà attivamente a diversi progetti antimedicei sostenuti soprattutto da Girolamo Riario, Signore di Imola, tanto che, catturato in Toscana nel febbraio 1482, verrà condannato a morte e impiccato il 14 marzo 1482.